In un contesto in cui il digitale permea ogni processo aziendale, la governance tecnica è diventata una leva strategica per garantire continuità operativa, innovazione sostenibile e capacità di adattamento. Non si tratta più semplicemente di scegliere un gestionale o aggiornare un’infrastruttura: si tratta di decidere chi governa la tecnologia in azienda, con quali ruoli, competenze, responsabilità e modelli organizzativi. È una scelta che impatta il business, non solo l’IT.

La domanda fondamentale non è più “quale strumento adottare?”, ma “come strutturare l’area tecnica per supportare la crescita?”. È qui che entra in gioco il tema della governance: costruire un modello solido per coordinare tecnologie, fornitori, sviluppatori, processi, priorità. Ed è una questione che tocca da vicino imprenditori, CEO, direttori generali, responsabili dell’innovazione.

Perché la governance tecnica è una scelta strategica

Molte aziende scoprono l’importanza della governance tecnica solo dopo un imprevisto: un down prolungato, un fornitore che scompare, un’infrastruttura non scalabile. Ma il vero vantaggio è giocare d’anticipo, costruendo un presidio tecnologico stabile anche in realtà che non sono tech-native.

Una buona governance tecnica consente di:

Avere un’area tecnica non significa necessariamente avere un reparto IT strutturato. Ma significa sapere chi decide, chi esegue, chi verifica. Significa costruire un sistema, anche minimale, che riduca l’improvvisazione e garantisca coerenza, scalabilità e continuità.

Il ruolo del CTO o del Tech Lead nella governance tecnica

In ogni organizzazione, anche quelle non strettamente tech, è essenziale che esista una figura con la responsabilità di tradurre le esigenze aziendali in scelte tecniche coerenti. Spesso questo ruolo è affidato al CTO (Chief Technology Officer) o, nelle PMI, a un Tech Lead esperto. Non si tratta solo di supervisionare lo sviluppo o risolvere bug, ma di guidare le scelte tecnologiche in relazione agli obiettivi strategici dell’azienda e occuparsi della sicurezza informatica. Chi copre questa funzione deve conoscere le priorità di business, comprendere i vincoli economici e normativi, e saper valutare costi, benefici e impatti delle decisioni architetturali. In assenza di questa figura, è facile che la tecnologia venga vissuta come un costo da contenere, anziché come una leva per crescere e differenziarsi.

Cosa succede quando manca governance: il rischio del digital spaghetti

Quando la governance tecnica è assente o debole, l’effetto è simile a una crescita disordinata: ogni team o fornitore introduce strumenti, linguaggi e logiche proprie, senza una visione condivisa. Col tempo, l’infrastruttura diventa fragile, difficile da manutenere, piena di ridondanze e incoerenze. Si parla spesso di digital spaghetti, un ecosistema tecnico caotico dove anche le modifiche più semplici richiedono tempo, analisi, e il rischio di compromettere altre aree. L’azienda diventa dipendente da singoli sviluppatori o fornitori che conoscono “come è fatto dentro”, e ogni evoluzione tecnologica costa più del previsto. Governare in modo strategico serve proprio a evitare questo scenario: significa mettere ordine prima che il disordine diventi un freno all’innovazione.

infrastruttura di un ecosistema digitale

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Team interno: quando costruire competenze digitali in casa

Avere un team tecnico interno è, per molte aziende, un segnale di maturità digitale. Significa investire in risorse umane che conoscano in profondità i processi aziendali, possano reagire rapidamente ai problemi, e contribuiscano attivamente allo sviluppo di nuovi servizi o prodotti. Tuttavia, è una scelta che comporta costi e responsabilità ben precisi.

Il vantaggio principale è il controllo diretto: il know-how rimane in azienda, le tecnologie scelte sono gestite da chi ne comprende il contesto e l’evoluzione, la comunicazione tra reparti è più fluida. Un team interno può adattarsi meglio alle specificità del business, proporre soluzioni coerenti con la cultura aziendale, costruire relazioni stabili con i referenti non tecnici.

Ma non è una strada priva di sfide. Mantenere aggiornato un team tecnico richiede formazione continua, percorsi di crescita, e una cultura interna che valorizzi il digitale. Le competenze più ricercate — sviluppo software, DevOps, cloud, sicurezza — sono anche le più difficili da attrarre e trattenere, soprattutto per realtà non tech-first. Il rischio è creare un reparto “monolitico”, che fatica a evolversi, oppure diventare dipendenti da una o due figure chiave che concentrano tutte le conoscenze.

Per questo, costruire un team interno va pensato come un investimento di lungo periodo: ha senso solo se l’azienda è pronta a sostenerlo, a guidarlo strategicamente, e a integrarlo nella visione complessiva.

Partner tecnologici: il valore dell’expertise esterna

Affidarsi a partner esterni per la gestione tecnica è spesso la scelta più naturale per le PMI, le startup in early stage o le aziende in fase di transizione digitale. Software house, agenzie tech, system integrator o liberi professionisti possono offrire competenze verticali, flessibilità operativa e un supporto strutturato senza dover costruire un reparto interno.

Il vantaggio immediato è l’accesso a competenze pronte all’uso: si può partire velocemente, adattare il team alle esigenze progettuali, lavorare con tecnologie avanzate già collaudate. Inoltre, un partner esperto può fungere da guida strategica, aiutando l’azienda a fare le scelte giuste in ambito infrastruttura, software, sicurezza, automazione.

Tuttavia, anche questa strada richiede attenzione. L’outsourcing tecnico non significa abdicare al controllo: è essenziale definire ruoli, confini e responsabilità. Un errore frequente è lasciare tutto in mano al partner — dal codice ai server, dalla documentazione al design delle architetture — creando una dipendenza che può diventare problematica nel tempo.

Inoltre, non tutti i fornitori lavorano con la stessa cura sul piano della trasparenza e della documentazione. È fondamentale formalizzare le scelte tecniche, condividere le roadmap, stabilire contratti chiari, e — quando possibile — prevedere un passaggio graduale delle conoscenze per evitare lock-in tecnologici.

Soluzioni ibride: coordinare risorse interne ed esterne

Molte aziende scelgono una via intermedia: un modello ibrido in cui una figura interna (CTO, Digital Manager, IT Lead) coordina un network di fornitori esterni, supervisionando scelte tecnologiche e garantendo coerenza strategica. È una soluzione flessibile, scalabile e spesso più sostenibile, soprattutto per aziende non native digitali.

Il vantaggio è duplice. Da un lato, si preserva una regia interna, in grado di mantenere la visione d’insieme, valutare le priorità, coordinare i diversi attori. Dall’altro, si possono attivare competenze esterne su richiesta, selezionando i partner migliori per ogni esigenza (sviluppo, UX/UI, cybersecurity, cloud, ecc.).

Questo modello funziona particolarmente bene in aziende in crescita, che vogliono testare nuovi progetti digitali senza sovraccaricare l’organico. Richiede però un presidio interno competente, capace di tradurre i bisogni aziendali in requisiti tecnici, comprendere le scelte progettuali, valutare le soluzioni proposte.

In assenza di questa figura — anche part-time o esterna — il rischio è frammentare le responsabilità, perdere visione sistemica e ritrovarsi con un ecosistema digitale poco coerente.

Team ibridi: dove finisce l’intervento interno e dove subentra il partner esterno

In molte aziende, la governance tecnica è gestita da team ibridi, dove il reparto IT interno lavora in coordinamento con partner esterni. Il team interno ha un ruolo strategico: supervisiona le scelte tecnologiche, analizza eventuali malfunzionamenti (come rallentamenti improvvisi o errori di sistema) e supporta gli altri reparti nel comprendere problemi tecnici che impattano sul lavoro quotidiano.

Quando si tratta invece di sviluppi, implementazioni o integrazioni complesse, entra in gioco il partner esterno. Questo si occupa, per esempio, di realizzare nuove funzionalità, collegare un gestionale a un sistema logistico, o progettare un’area clienti. In questo modo, l’azienda mantiene il controllo tecnico sulle decisioni, ma può affidare l’esecuzione operativa a chi ha le risorse e le competenze necessarie.

La chiave del successo in questi assetti è una chiara definizione dei ruoli: il team interno presidia strategia e funzionamento generale, il partner esterno esegue le attività più tecniche, con un flusso di comunicazione continuo e trasparente.

mani una sopra l altra di un team coeso

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Come scegliere il modello più adatto

Non esiste una formula universale. La scelta tra team interno, partner esterni o governance ibrida dipende da diversi fattori: il livello di digitalizzazione dell’azienda, la complessità dei processi, la cultura organizzativa, il budget disponibile, e soprattutto le ambizioni future.

Alcune domande utili da porsi:

In molti casi, è consigliabile partire con un approccio ibrido, affiancando una regia tecnica interna a un network di partner esterni specializzati. È un modo efficace per costruire governance, testare modelli organizzativi e prepararsi — nel tempo — a scelte più strutturate.

Conclusioni: presidio strategico della governance tecnica

La tecnologia non è più solo uno strumento operativo. È un motore di innovazione, efficienza e vantaggio competitivo. Ma per esprimere il suo potenziale, ha bisogno di una governance consapevole, in grado di guidarne l’evoluzione e integrarla nei processi aziendali.

Strutturare l’area tecnica non significa sempre costruire un reparto IT. Ma significa prendersi la responsabilità di governare il digitale: con una visione chiara, ruoli definiti, processi scalabili e partner affidabili.

È su questo terreno che si gioca il futuro di molte aziende. E non serve essere una tech company per iniziare: serve solo la volontà di fare scelte consapevoli.