Nel panorama attuale del branding, la tipografia non è solo un elemento estetico, ma un mezzo comunicativo potentissimo. Ogni carattere tipografico ha il potere di influenzare la percezione del brand, di evocare emozioni, e di trasmettere in maniera implicita valori e posizionamento. In questo articolo, ci rivolgiamo ai designer che si occupano di branding e identità visiva, per offrire una guida approfondita, teorica e pratica, su come scegliere il font più adatto a rappresentare un brand con coerenza, autorevolezza ed efficacia.

L’importanza della tipografia nel branding e nella comunicazione

Spesso sottovalutata nei processi di creazione di una brand identity, la tipografia è in realtà uno degli strumenti più potenti per costruire un’identità coerente. Un brand non parla solo attraverso i contenuti, ma anche attraverso la forma di quei contenuti. Il modo in cui il testo appare agli occhi dell’utente influenza il modo in cui verrà percepito. Font come Garamond evocano autorevolezza e classicità, mentre un Helvetica o un Futura parlano di modernità, semplicità e universalità.

Ogni settore ha codici visivi consolidati, e la tipografia ne è parte integrante: un brand nel mondo legale non comunicherà con lo stesso font di un brand nella moda o nella tecnologia. Inoltre, mantenere coerenza tra tutti i touchpoint (sito web, social, stampa, packaging) attraverso un sistema tipografico ben studiato migliora la brand recognition e rafforza la fiducia.

Come scegliere il tipo di font giusto: serif, sans-serif, script e display

I font possono essere suddivisi in diverse famiglie, ognuna con caratteristiche specifiche, vantaggi e limiti:

Il trucco sta nel scegliere il font che non solo piaccia visivamente, ma che rappresenti la voce del brand e sia in linea con il target di riferimento.

Font Google vs Adobe: caratteristiche e limiti

Molti designer si affidano a Google Fonts per la semplicità d’uso, la compatibilità con il web e la licenza open source. Tuttavia, questa comodità spesso comporta uno svantaggio: l’uniformità. Essendo gratuiti e molto utilizzati, questi font perdono originalità, e rischiano di far apparire il brand “già visto”.

Adobe Fonts (e altre fonderie professionali come Klim, Commercial Type, PangramPangram) offrono collezioni più curate, con una varietà stilistica più ampia, e un lavoro tipografico più sofisticato. Qui ogni font è progettato con attenzione a dettagli come kerning, hinting e resa su carta e schermo. Il risultato è un’identità visiva più unica e personalizzata.

Se il budget lo permette, il consiglio è di optare per un font professionale: migliora la qualità percepita e distingue il brand in un panorama visivo affollato.

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Come scegliere i font da abbinare

Il pairing tipografico è cruciale nella costruzione della gerarchia visiva. Un sistema ben equilibrato tra font per titoli, sottotitoli e corpo testo aiuta l’utente a orientarsi e a leggere con maggiore facilità. Un buon abbinamento crea ritmo, mentre uno scorretto genera rumore visivo.

Il principio fondamentale è il contrasto complementare: serif con sans-serif è una combinazione classica che funziona quasi sempre. È importante però che ci sia coerenza di stile (forme simili, proporzioni equilibrate) e una differenza abbastanza evidente da creare dinamismo.

Evita di usare due font simili (es. due sans-serif geometrici): sembrerà un errore. Allo stesso modo, evita accostamenti eccessivamente contrastanti, a meno che non sia una scelta deliberata e ben contestualizzata nel concept.

Accessibilità e leggibilità: come scegliere font efficaci sul web

Un font esteticamente valido non sempre è leggibile. Sul web, la leggibilità è essenziale per garantire un’esperienza utente positiva. Esistono parametri oggettivi da valutare:

Testa sempre i font su più dispositivi e condizioni di luce. Una buona pratica è usare strumenti come il contrast checker di WebAIM o Google Lighthouse per valutare l’accessibilità del testo.

Sul tema dell’accessibilità potrebbe interessarti anche: Come migliorare l’accessibilità di un sito web 

Font e identità visiva: casi studio di brand noti

La tipografia può diventare il segno distintivo di un brand. Coca-Cola ha costruito la sua intera immagine su un font calligrafico personalizzato. Netflix usa un sans-serif bold e minimalista per comunicare tecnologia e contenuto. The New York Times mantiene da decenni una serif tradizionale che evoca autorevolezza. In ognuno di questi casi, il font non è solo una scelta visiva, ma parte integrante del racconto di marca. Il font diventa una voce: costante, riconoscibile e coerente. Studiare questi casi aiuta i designer a capire come anche una scelta tipografica possa diventare un asset di valore nel lungo termine.

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Fonte

Tool utili per testare e scegliere il font giusto

Scegliere “a occhio” non è sempre affidabile. Esistono strumenti online che aiutano a confrontare, abbinare e testare font in modo oggettivo:

Errori da evitare nella scelta tipografica per un progetto professionale

Nel processo di selezione tipografica, alcuni errori comuni possono compromettere la coerenza, l’efficacia comunicativa e la professionalità del progetto. Evitarli significa garantire un’identità visiva solida e riconoscibile, capace di sostenere la narrazione del brand su tutti i canali.

1. Usare troppi font: inserire più di due o tre font in un progetto può generare un effetto disordinato e frammentato. L’identità visiva perde forza e coerenza, e l’utente fatica a orientarsi tra le informazioni. Un sistema tipografico essenziale, ma ben articolato, favorisce la leggibilità e rafforza la riconoscibilità del brand.

2. Ignorare la compatibilità web: non tutti i font sono ottimizzati per il digitale. Alcuni, sebbene perfetti su carta, possono apparire sfocati o troppo densi su schermo, specialmente su dispositivi mobili. È fondamentale testare i font scelti in diversi browser e su vari dispositivi, per verificare la resa in termini di nitidezza, spaziatura e contrasto.

3. Affidarsi solo al gusto personale: scegliere un font perché piace, senza tener conto del contesto del brand o del pubblico di riferimento, è un errore molto comune. Il gusto personale deve essere filtrato da una riflessione strategica: il font deve essere coerente con la voce, il tono e i valori del brand. Ad esempio, un carattere troppo giocoso potrebbe risultare poco credibile per un brand istituzionale.

4. Non testare il font in tutti i contesti: è indispensabile verificare la versatilità del font nei diversi utilizzi reali. Come si comporta in corpo piccolo o molto grande? È leggibile anche in grassetto o corsivo? Funziona nei form, nei pulsanti, nelle didascalie? Un font può sembrare perfetto in una headline, ma perdere efficacia nel corpo testo. Testarlo nei contesti d’uso aiuta a evitare sorprese in fase di pubblicazione.

5. Ignorare il supporto multilingua: se il brand si rivolge a un pubblico internazionale, è necessario verificare che il font supporti tutti i caratteri necessari (accenti, lettere speciali, simboli). Una mancanza di copertura linguistica può compromettere la qualità del contenuto e ridurre l’accessibilità globale del messaggio.

Un designer professionista valuta quindi la tipografia sotto molteplici aspetti: estetica, funzionalità, performance digitale, coerenza narrativa e versatilità. Evitare questi errori è un passo fondamentale per costruire un sistema tipografico robusto e distintivo.

Font licensing: cosa sapere prima di scegliere un font su web o stampa

Ignorare la licenza di un font è un errore che può costare caro. Investire in una licenza adeguata è parte dell’etica professionale e tutela il progetto. I font sono opere intellettuali, e il loro uso è regolato da contratti specifici.

Best practice:

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Fonte

Cos’è la EULA e come influisce nella scelta di un font?

La EULA, acronimo di End User License Agreement, è il contratto di licenza che regola i diritti e le limitazioni d’uso di un font. Quando si acquista o si scarica un carattere tipografico, non se ne diventa proprietari: si ottiene una licenza che ne autorizza l’utilizzo secondo condizioni precise, che possono variare in base all’ambito d’applicazione e alla distribuzione prevista.

Ad esempio, un font potrebbe essere gratuito per uso personale ma richiedere una licenza a pagamento per l’uso commerciale. Alcune licenze prevedono limiti sul numero di visualizzazioni mensili sul web, altre richiedono licenze separate per stampa, video, app o campagne pubblicitarie. Inoltre, in progetti che coinvolgono team o clienti, è fondamentale verificare se la licenza copre l’uso multiutente o aziendale.

Ignorare la EULA espone a rischi legali, che possono avere impatto economico e reputazionale sul progetto. Per questo, è fondamentale leggere attentamente i termini di ogni font prima di integrarlo in un’identità visiva. La scelta tipografica non è solo una questione estetica o funzionale: è anche un atto di responsabilità e di rispetto per il lavoro dei type designer.

Conclusioni

Scegliere un font non è un esercizio di stile, ma un atto di progettazione responsabile. Per i designer che si occupano di branding, la tipografia rappresenta una voce, un tono, una presenza. È parte integrante del sistema identitario di un brand, e come tale deve essere studiata con metodo, passione e precisione.

Così come avviene con l’UX writing — che progetta le parole con l’obiettivo di guidare, rassicurare o convertire l’utente nei vari touchpoint digitali — anche la tipografia ha un ruolo strategico nella costruzione dell’esperienza. Non si tratta solo di estetica, ma di coerenza, chiarezza e intenzionalità comunicativa. Entrambi gli ambiti si concentrano sull’usabilità, sull’intenzionalità del messaggio e sul rispetto della voce del brand.

Un font può rafforzare un messaggio, consolidare un posizionamento e migliorare l’esperienza utente. Per questo, ogni scelta tipografica deve essere consapevole, coerente e motivata. Solo così il design diventa davvero strategico.

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